Meneghello-Varnai e la rivista Comunità
(1952 – 1961)

… con scrupolo e chiarezza …

OLIVETTI, ZORZI E COMUNITÀ

Adriano Olivetti (1901-1960)

Un imprenditore di idee: così lo ha definito Franco Ferrarotti, uno dei suoi più stretti collaboratori. Olivetti offrì all’Italia del dopoguerra qualcosa di straordinario: «Il tentativo in sostanza di essere moderni, postmoderni, di essere tecnicamente progrediti senza diventare per questo interiormente imbarbariti» (Ferrarotti).
I successi della Olivetti nel campo dell’innovazione tecnologica furono straordinari: in pochi anni divenne un’azienda leader nelle macchine da scrivere e da calcolo, e nell’informatica. Ancora più straordinaria e preziosa è l’eredità politica, sociale, etica, spirituale di Olivetti:
«Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?»
(A. Olivetti, inaugurazione fabbrica di Pozzuoli, 1955).
Ai modelli contrapposti del capitalismo e del comunismo, Olivetti offriva una nuova utopia, una “democrazia senza partiti”, un socialismo liberale che trova nell’idea di comunità quel punto di equilibrio creativo tra stato, società e individuo; e perché quest’utopia diventi reale ecco che la fabbrica diventa un laboratorio di idee cui concorrono in armonica collaborazione le figure dell’ingegnere, del letterato e dell’architetto, perché anche la bellezza è necessaria alla vita, tanto più se prende le forme del luogo di lavoro, delle abitazioni e delle città dove viviamo.
Lo si vede fin dalla prima pagina del primo numero di Comunità con le firme di Ignazio Silone e l’immagine di nuova architettura, di una città giardino, e l’editoriale non firmato Avere fede, che esprime la visione di Olivetti, ingegnere chimico, imprenditore, utopista concreto, spirito umanitario e liberale:
«Veder nuovo significa vedere un mondo umano, veramente umano, un mondo fondato su leggi naturali, su leggi che siano eterne e siccome eterne diano vita e vigore ogni giorno all’azione, perché l’azione non si torca su se stessa ma partecipi a una nuova società ove alberghi la quiete e risplenda la bellezza»
(Avere fede, Comunità, marzo 1946)
Nel clima del dopoguerra, nell’Italia affossata da vent’anni di ‘autarchia’ economica e soprattutto culturale, ancora legata a modelli arcaici e nei casi migliori paternalistici di gestione imprenditoriale, attraversata da violente contrapposizioni ideologiche, «Adriano Olivetti fece una morbida irruzione, regalando all’industria italiana un primato di tecnologie avanzate, di raffinatezza formale, di civile convivenza. Le Edizioni di Comunità e la rivista Comunità furono paradigma e specchio di tutto questo»
(De Masi, 2008)

Adriano Olivetti (1901-1960)

Un imprenditore di idee: così lo ha definito Franco Ferrarotti, uno dei suoi più stretti collaboratori. Olivetti offrì all’Italia del dopoguerra qualcosa di straordinario: «Il tentativo in sostanza di essere moderni, postmoderni, di essere tecnicamente progrediti senza diventare per questo interiormente imbarbariti» (Ferrarotti).
I successi della Olivetti nel campo dell’innovazione tecnologica furono straordinari: in pochi anni divenne un’azienda leader nelle macchine da scrivere e da calcolo, e nell’informatica. Ancora più straordinaria e preziosa è l’eredità politica, sociale, etica, spirituale di Olivetti:
«Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?»
(A. Olivetti, inaugurazione fabbrica di Pozzuoli, 1955).
Ai modelli contrapposti del capitalismo e del comunismo, Olivetti offriva una nuova utopia, una “democrazia senza partiti”, un socialismo liberale che trova nell’idea di comunità quel punto di equilibrio creativo tra stato, società e individuo; e perché quest’utopia diventi reale ecco che la fabbrica diventa un laboratorio di idee cui concorrono in armonica collaborazione le figure dell’ingegnere, del letterato e dell’architetto, perché anche la bellezza è necessaria alla vita, tanto più se prende le forme del luogo di lavoro, delle abitazioni e delle città dove viviamo.
Lo si vede fin dalla prima pagina del primo numero di Comunità con le firme di Ignazio Silone e l’immagine di nuova architettura, di una città giardino, e l’editoriale non firmato Avere fede, che esprime la visione di Olivetti, ingegnere chimico, imprenditore, utopista concreto, spirito umanitario e liberale:
«Veder nuovo significa vedere un mondo umano, veramente umano, un mondo fondato su leggi naturali, su leggi che siano eterne e siccome eterne diano vita e vigore ogni giorno all’azione, perché l’azione non si torca su se stessa ma partecipi a una nuova società ove alberghi la quiete e risplenda la bellezza»
(Avere fede, Comunità, marzo 1946)
Nel clima del dopoguerra, nell’Italia affossata da vent’anni di ‘autarchia’ economica e soprattutto culturale, ancora legata a modelli arcaici e nei casi migliori paternalistici di gestione imprenditoriale, attraversata da violente contrapposizioni ideologiche, «Adriano Olivetti fece una morbida irruzione, regalando all’industria italiana un primato di tecnologie avanzate, di raffinatezza formale, di civile convivenza. Le Edizioni di Comunità e la rivista Comunità furono paradigma e specchio di tutto questo»
(De Masi, 2008)
Renzo Zorzi (1921-2010)

«Renzo Zorzi è la figura di maggior spicco nella ristretta schiera di quei manager olivettiani che dopo la morte di Adriano Olivetti hanno saputo dare forza e continuità allo “stile” di un’impresa impegnata a promuovere la cultura nelle sue diverse dimensioni e a perseguire ideali di bellezza intesa non come pura forma, ma come sostanza dell’agire aziendale»
(Renzo Zorzi, una vita per l’arte e la cultura, www.storiaolivetti.it)
Veronese, nato pochi mesi prima di Meneghello, gli sarà legato da una straordinaria stima e amicizia:
«Devo dire che sono un amico di vecchissima data, posso, anzi, dire che conosco, conoscevo Meneghello prima di conoscerlo»
(Zorzi, 2008)
Nel 1947 entra alla casa editrice De Silva, a Torino. Come primo lavoro, il direttore Antonicelli gli affida la lettura di un manoscritto:
«Andai a casa, lo lessi, passai la notte, una notte angosciosa, piangendo, disperato per le cose che c’erano dentro. Era il libro di Primo Levi a cui poi proposi io stesso il titolo Se questo è un uomo»
(Zorzi, 2008)
Nel 1952 diviene il direttore di redazione della rivista Comunità, cui si aggiunge poco dopo la direzione delle Edizioni di Comunità; rimarrà legato alla Olivetti fino al 1986. Meneghello appare tra i primi e più apprezzati collaboratori.

Renzo Zorzi (1921-2010)

«Renzo Zorzi è la figura di maggior spicco nella ristretta schiera di quei manager olivettiani che dopo la morte di Adriano Olivetti hanno saputo dare forza e continuità allo “stile” di un’impresa impegnata a promuovere la cultura nelle sue diverse dimensioni e a perseguire ideali di bellezza intesa non come pura forma, ma come sostanza dell’agire aziendale»
(Renzo Zorzi, una vita per l’arte e la cultura, www.storiaolivetti.it)
Veronese, nato pochi mesi prima di Meneghello, gli sarà legato da una straordinaria stima e amicizia:
«Devo dire che sono un amico di vecchissima data, posso, anzi, dire che conosco, conoscevo Meneghello prima di conoscerlo»
(Zorzi, 2008)
Nel 1947 entra alla casa editrice De Silva, a Torino. Come primo lavoro, il direttore Antonicelli gli affida la lettura di un manoscritto:
«Andai a casa, lo lessi, passai la notte, una notte angosciosa, piangendo, disperato per le cose che c’erano dentro. Era il libro di Primo Levi a cui poi proposi io stesso il titolo Se questo è un uomo»
(Zorzi, 2008)
Nel 1952 diviene il direttore di redazione della rivista Comunità, cui si aggiunge poco dopo la direzione delle Edizioni di Comunità; rimarrà legato alla Olivetti fino al 1986. Meneghello appare tra i primi e più apprezzati collaboratori.

Il primo numero di Comunità, Giornale mensile di politica e cultura, marzo 1946

«Le Edizioni di Comunità sono state fondate alla fine della guerra, in un momento di profondo turbamento morale e di grande speranza, con l’intento di contribuire alla ripresa culturale dell’Italia e di recare alla comprensione del tempo e del mondo in cui viviamo la voce delle coscienze e delle menti più alte di ogni paese in un dialogo senza frontiere che al di là delle contingenze e delle polemiche parlasse agli uomini delle loro mete, della loro vocazione e responsabilità»

Dattiloscritto senza titolo per il decennale delle Edizioni di Comunità (ASO)

«Credo che nessuno di quelli che hanno scritto su “Comunità” possa dire di avere mai avuto una riga tagliata o un articolo respinto per ragioni d’indirizzo. […] Adriano Olivetti credeva decisamente nella necessità ineluttabile, che la cultura sia svincolata dalla politica»(Zorzi, 2008)

«I prodotti dell’industria Olivetti sembrano
quasi illuminati dalle esatte proporzioni e dall’amore
con cui si dovrebbe fabbricare un oggetto, dall’amore
con cui si compie il proprio dovere, dall’amore
al proprio lavoro. Egli aveva posto la responsabilità dell’uomo nell’uomo stesso. Egli desiderava realizzare il sogno di una nuova società sulla terra e non lo rimandava a scadenze imprecisate»
Le Corbusier

Lettera di Zorzi a Meneghello, gennaio 1954 (CMP)

«Sui campi di concentramento, qualcosa in Italia è uscito, e il libro di Primo Levi, Se questo è un uomo, da me pubblicato quando lavoravo alla De Silva, è particolarmente buono, ma dati credo non se ne abbiano»

La scrittura giornalistica è un aspetto dell’esperienza e dello spirito di Luigi Meneghello tra i meno studiati

La scrittura giornalistica è un aspetto dell’esperienza e dello spirito di Luigi Meneghello tra i meno studiati, complice l’autore stesso che ha di rado fatto riferimento a questo suo lungo apprendistato. Le due esperienze più significative si collocano agli inizi e alla fine della sua carriera di scritture: la decennale collaborazione con la rivista Comunità di Adriano Olivetti degli anni cinquanta, e il quadriennio 2004-2007 che raccoglie per il domenicale del Sole24ore una serie di “nuove carte”, uno zibaldone di riflessioni, schegge memoriali, cammei narrativi intrecciati liberamente e sottilmente alla civiltà contemporanea. 
Lo slancio ideale della lotta partigiana aveva lasciato il posto già nel primo dopoguerra alle contrapposizioni ideologiche, agli interessi di parte: deluso, Meneghello si ‘dispatria’ in Inghilterra. Ma tiene i contatti con l’Italia, e nel progetto non solo imprenditoriale di Adriano Olivetti, direttore di Comunità, trova il luogo più adatto per dialogare con gli italiani.

UN MANIFESTO DI SCRITTURA CIVILE

Lettera di Zorzi a Meneghello, 27 ottobre 1952 (ASO)

«il tuo nome è fra i primi tra quanti ne vado cercando»

«La collaborazione con Meneghello ebbe inizio con il numero 16 e fu, secondo me, una collaborazione esemplare, perché nei circa novanta numeri di “Comunità” per i quali scrisse, cioè dal settembre del ‘52 fino al dicembre del ‘61, pubblicò 109 articoli e recensioni di libri. Erano interventi di grande lucidità, vividezza, desiderio di capire l’Inghilterra […] Scrisse 109 puntate, alcune delle quali sono rimaste famose: una, in particolare, in tre tempi, sullo sterminio degli ebrei. […] Si occupava di parecchie cose […] Ma il suo tema principale era la Germania, come era diventata nazista, chi era Hitler»
(Zorzi, 2008)

Lettera di Meneghello a Zorzi, 23 dicembre 1952 (ASO)

«Insieme con la documentazione attuale, perché non puntare sulla divulgazione storica? […];
scritta con scrupolo e chiarezza, senza pretese di contributi specializzati ma anche senza concessioni alle debolezze di una parte del pubblico.
Gioverebbe forse riattaccarsi proprio agli argomenti storpiati di volta in volta dai periodici a rotocalco si tratta di farsi capire, e soprattutto di non voler dire più di quel che s’ha da dire»

La collaborazione di Meneghello inizia nel dicembre del 1952 con il primo di tre contributi dedicati ai Ritratti di Fabiani:
«… Entra Beatrice Webb». Beatrice era con il marito Sidney Webb tra i protagonisti del movimento di ispirazione socialdemocratica dei Fabians, nato alla fine dell’Ottocento in Inghilterra. Una simile attenzione rientrava perfettamente nelle matrici ideali del Movimento di Comunità, come testimonia lo stesso Zorzi in una lettera dell’8 novembre 1952 a Meneghello: «L’articolo sulla Webb mi interessa moltissimo […] mi interessa tutto ciò che riguarda i Fabiani, sui quali quindi puoi scrivere più di un articolo» (ASVN). L’interesse di Meneghello per i Fabiani ha radici personali e profonde: «I Fabiani, con il loro progetto di riforma sociale, dovettero sembrare a Meneghello quello che gli intellettuali del Partito d’Azione non seppero essere, cioè intellettuali che riuscirono a incidere almeno in parte sulla società del tempo»
(De Marchi, 2012)

Nell’ottobre del 1952, Zorzi propone a Meneghello di collaborare con la rivista Comunità di Adriano Olivetti

Nell’ottobre del 1952, Zorzi propone a Meneghello di collaborare con la rivista Comunità di Adriano Olivetti: Meneghello accetta con entusiasmo, delineando un modello di scrittura civile che diffonda cultura «con scrupolo e chiarezza […] cercando di informare, senza scoprire né imbonire», senza i populismi di una retorica di superficie o i sensazionalismi dei rotocalchi, ma anche senza chiudersi nel circolo ristretto degli addetti ai lavori. In meno di un decennio, quasi sempre sotto lo pseudonimo di Ugo Varnai, usciranno più di un centinaio di recensioni di libri inglesi o americani: in una sorta di patriottismo culturale e civile, Meneghello offre al lettore italiano un panorama ricco e ben selezionato dei temi e dei libri che rappresentano e interpretano il mondo contemporaneo, realizzando, almeno in parte, quegli ideali di promozione culturale e civile propri dell’etica sociale e politica del Partito d’Azione, cui aveva aderito con entusiasmo e fiducia. I primi contributi dedicati ai Ritratti di Fabiani rappresentano bene simili interessi, e permettono anche di illustrare il rilievo della biografia come via d’accesso alla comprensione della storia. Questa scrittura dall’Inghilterra all’Italia si nutre dello spirito di apertura e di servizio proprio della traduzione: una scrittura attenta ai libri degli altri, un quotidiano esercizio di Meneghello per il progresso culturale e civile degli italiani. I suoi contributi al Third Programme della BBC (anni cinquanta) e i suoi articoli sul Times Literary Supplement (dal 1977 al 1989) dedicati alla cultura e letteratura italiana rappresentano il movimento inverso, dall’Italia all’Inghilterra.

“UNA SPECIE DI SECONDO IMPIEGO”

Lettera di Meneghello, 23 aprile 1955 (ASO)

«Vedo che hai adottato come occhiello Libri inglesi, e questo mi suggerisce qualche considerazione che già da tempo volevo sottoporti. […]
L’aspirazione sarebbe quella di dare un panorama ristretto, ma organico e a suo modo completo, delle opere o più lette o più discusse o più interessanti che escono via via in Inghilterra. […]
Accennavi a una corrispondenza fissa dall’Inghilterra […] pensavi a un sommario informativo imparziale una volta al mese, oppure a un commento vivamente personale? L’uno e l’altro sarebbero estremamente utili in Italia, per correggere errori e leggerezze nei reportage dei quotidiani,
ma è ben difficile trovare la persona adatta. […]
Dovrei rinunciare a qualche altro impegno di lavoro, e fare di questo una specie di secondo impiego»

Lettera di Meneghello a Zorzi, 7 gennaio 1956 (ASO)

«Ecco dunque la prima puntata di “Libri in Inghilterra” […]
Ho sudato sette camicie, perché ciascuno dei quattro libri meritava un pezzo a sé. Comprimere
sarebbe facile, se si trattasse di libri accessibili al lettore italiano: ma io non voglio e non devo limitarmi a un giudizio, ma esporre, e dare un’idea del tono di ciascun libro. […]
A me sembra che se riuscirò a continuare, la rivista avrebbe una rubrica mensile di libri “inglesi” di cui non credo ci sia l’equivalente in Italia. Sono questi i libri che le più aggiornate tra le persone colte, qui in Inghilterra, riescono a “vedere” di mese in mese: e noi cerchiamo di darne conto al lettore italiano a mano a mano che escono, aprendogli un campo che altrimenti gli resterebbe inaccessibile e sconosciuto»

«RI [Rivista delle idee] = rivista con una sua linea ben definita, con un programma impegnativo di analisi critica degli aspetti di fondo della cultura occidentale contemporanea. In pratica, ogni numero è dedicato a un singolo tema o gruppo omogeneo, di temi […]
Il progetto è ambizioso, e il rischio di fallire, di apparire presuntuosi e dissennati, non piccolo. Bisognerà ovviamente temperare l’implicita arditezza del proposito con la modestia dell’atteggiamento di fondo: che non è la propagazione di una qualche nuova visione del mondo, ma l’idea di fare un po’ il punto della situazione, di indagare in modo ordinato, esauriente, spassionato, come stanno le cose, che cosa si sa e che cosa non si sa,
quali sono i termini delle controversie, delle lotte, dei processi culturali in cui siamo coinvolti»
(Meneghello, Relazione al dott. Renzo Zorzi, ASVN)

Le prime due pagine del dattiloscritto Relazione al dott. Renzo Zorzi, allegato alla lettera di Meneghello a Zorzi del 5 aprile 1968 (ASVN)

Le prime collaborazioni sono inserite nella prima sezione della rivista, dedicata a questioni sociopolitiche

Le prime collaborazioni sono tipicamente inserite nella prima sezione della rivista, variamente titolata, ma comunque dedicata a questioni sociopolitiche. La frequenza è assidua, e dal 1955 i contributi di Meneghello vanno a costituire una rubrica fissa: Libri inglesi (sostituita per un breve periodo dalla proposta meneghelliana di Libri in Inghilterra, che giustificava la presenza di libri americani o in traduzione inglese). L’impegno appare assumere un rilievo nuovo, tanto da configurarsi come un “secondo mestiere”: una lettera a Zorzi dell’aprile del 1955 testimonia al tempo stesso l’interesse per questo tipo di divulgazione culturale e la coscienza del lavoro che essa richiede. Vediamo qui una sorta di anticipazione di quello che sarà il coinvolgimento di Meneghello in un progetto per una nuova rivista Olivetti: siamo negli anni sessanta, Meneghello è a capo del dipartimento
di italiano di Reading, è anche e soprattutto lo scrittore di Libera nos a malo e dei Piccoli maestri, ma il richiamo del giornalismo, della scrittura civile di divulgazione delle idee è ancora fortissimo, e la proposta di Zorzi e della Olivetti di creare e dirigere una rivista culturale veramente innovativa lo attira a tal punto da ipotizzare l’abbandono della carriera accademica e il rientro in Italia. Il progetto non andrà a buon fine, ma la relazione di Meneghello a Zorzi contiene tutta l’intelligenza e l’apertura culturale per una Rivista delle idee che avrebbe sicuramente offerto agli italiani uno strumento prezioso per comprendere e ripensare la complessità del mondo moderno.

GERMANICA

Lettera di Meneghello a Zorzi, 1 maggio 1953 (ASO)

Lettera di Meneghello a Zorzi, 16 ottobre 1953 (ASO)

«Mi chiedi un titolo complessivo per le due recensioni: che ne diresti di: Germanica» Le due recensioni sono: Intelligenza di Hitler [rec. a Hitler’s Table Talk, 1941-1944, 1953] e Rommel visto dagli inglesi [rec. a The Rommel’s Papers, a c. di Liddel Hart et al., 1953]; entrambe in Comunità, novembre 1953

«Hitler è stato un fenomeno ad un tempo tedesco ed europeo; si potrebbe dire che se il suo gergo fu tedesco, la sua lingua fu la lingua franca dell’Europa moderna. Così se davanti agli orrori del nazismo è difficile non lasciarci indurre a parlare di un “peccato originale” della Germania, non si può sfuggire alla conclusione che il popolo tedesco non fece che riprodurre in una versione consona al suo carattere un male che è di tutta
l’Europa contemporanea»
«Certo non si può aspettarsi che coloro
che videro i loro cari, i loro correligionari
e connazionali cacciati a branchi sotto le docce di gas mortale abbiano più la volontà né la forza di permettersi simili considerazioni. Ma è dovere degli altri europei meno sventurati rendersi conto che la responsabilità del nazismo spetta a tutta la civiltà europea, e che la sola speranza che esso non si rinnovi sta nella possibilità di contrastare e sconfiggere il nazionalismo, il razzismo e il militarismo dovunque essi rinascano, al di qua o al di là delle Alpi, nel campo dei vinti dell’ultima guerra o in quello dei vincitori»

A. Lampugnani [pseud. di Meneghello] Hitler e il destino dell’Europa,
rec. a A. Bullock, Hitler, Londra 1952, Comunità, giugno 1953

«Diamo per conosciuto da chi legge il quadro degli stermini razziali nelle loro fasi principali:
a) “Trasferimento” di ebrei e slavi in Polonia nel 1939-40.
b) Massacri degli Einsatzgruppen nel 1941-42 in Polonia orientale e in Russia.
c) Azione Reinhard nel 1942- 1943.
d) Campi di concentramento «normali»
a eliminazione indiretta.
Per normali intendiamo Dachau, Mauthausen, Belsen-Bergen, Buchenwald, ecc.: in tutto una dozzina e mezza senza contare le dipendenze. In questi campi solo un numero relativamente piccolo di prigionieri veniva gassata o trucidata direttamente. Per esempio a Mauthausen morirono poco più di 33.000 persone, di cui
i trucidati direttamente rappresentano la minor parte.
e) Macello degli ebrei continentali nel grande centro di Auschwitz dal 1942 al 1944.
Le cifre con sei zeri corrispondono soltanto alle voci b) c) ed e).
Per eseguire questo programma occorreva uno strumento speciale: dei reparti di provata fedeltà e preparazione. Il compito toccò alla SS, ed è certo il più importante tra tutti gli altri da essa svolti»

U. Varnai [pseud. di Meneghello]
Storia della SS, rec. a G. Reitlinger,
The SS. Alibi of a Nation. 1922-1945, 1956, in Comunità, giugno 1957

«Mentre la questione del riarmo tedesco torna a dominare la politica europea, è augurabile che non si trascurino le storie, specie politiche e militari del popolo che ha recentemente portato le armi con tragica bravura contro il nemico in campo, e con tragica codardia contro molti milioni di innocenti indifesi.
Ciò che è davvero caratteristico della tragedia tedesca non è che i militari facessero quello che fecero, ma che il paese li lasciasse fare e non riuscisse ad esprimere altre forze capaci di tenerli in freno. Il Wheeler-Bennett, che professa di non nutrire alcuna illusione, ritiene tuttavia giusta la decisione di riarmare la Germania. Si tratta secondo lui di un rischio minore di quello dell’espansione russa, affrontato nella piena coscienza che nel ridare le armi ai tedeschi ci si mette nelle mani di Dio. Ma, a giudicare da quanto avvenne negli scorsi decenni, il Dio che presiede alla storia europea è un Dio spietato»

(U. Varnai [pseud. di Meneghello] La politica dei generali tedeschi [rec. a J.W. Wheler-Bennett, The Nemesis of Power, 1953] in Comunità, giugno 1954)

Fin dai primi anni della collaborazione con Comunità, Luigi Meneghello rivolge una particolare attenzione alla Germania, alle figure dei protagonisti del nazismo

Fin dai primi anni della collaborazione con Comunità, Luigi Meneghello rivolge una particolare attenzione alla Germania, alle figure dei protagonisti del nazismo, alla sua storia e alle sue istituzioni. Il primo ampio intervento è dedicato alla figura di Hitler, attraverso la recensione a un saggio di Bullock dedicato al dittatore; per i due interventi successivi, dedicati a Hitler e a Rommel, Meneghello propone anche una sorta di titolo complessivo: Germanica.
L’attenzione non è legata solo alla rilevanza storica di tali argomenti, ma anche e soprattutto all’attualità dei primi anni cinquanta: in un clima sempre più teso di guerra fredda, la ricostruzione e il riarmo della Germania Ovest sono questioni di assoluto rilievo per il futuro europeo (in quegli anni fallirà la CED, la Comunità Europea di Difesa, e la Germania Ovest entrerà nella Nato). In un articolo del 1957, Storia della SS, Meneghello offrirà una schematica sintesi della Shoah.